FLASHBACK dei duergar
Il capocantiere Kumurz si sedette a gambe conserte sulla stuoia di foglie di palma, la fronte corrucciata in un cipiglio che pareva scolpito sulla pelle grigia. Pochi istanti dopo, il mastro muratore Dal-Rig annunciò il proprio arrivo con un verso gutturale e fece capolino dalla pesante tenda di canapa: “Le guardie scelte Grennus e Balbeck sono pronte per il rapporto, capo”.
Kumurz chiuse gli occhi, cercando di controllare la forte emicrania che gli pulsava nelle tempie: “Da quanto sono lì?”, chiese. Il suo braccio destro Dal-Rig si schiarì ancora la gola prima di rispondere: “Si stanno prostrando qui davanti da circa due ore, capo”. Kumurz inspirò profondamente, massaggiandosi le tempie con la punta delle dita: “Lasciali prostrare. Li chiamerò tra poco”. Dal-Rig annuì e si ritirò al di là della tenda, visibilmente sollevato.
Rimasto solo, Kumurz trasse una serie di respiri profondi. Odiava quell’incarico. Odiava lavorare così vicino alla superficie, odiava avere a che fare con i draconici, e soprattutto odiava la presenza asfissiante della giungla che ricopriva il cantiere. E odiava gli sviluppi dell’ultimo giorno: un inatteso e sorprendente attacco alla sua squadra da parte di un gruppo di stranieri sbucati dal nulla.
Kumurz allungò una mano verso la bottiglia che teneva sempre accanto alla sua postazione di lavoro. Fece scorrere con cautela il disco di marmo che sigillava il contenitore e versò qualche dito del liquido nero in un pesante bicchiere di roccia, stando bene attento a non respirarne gli effluvi.
Il capocantiere attese a occhi chiusi, ascoltando pazientemente lo sfrigolio del liquore che corrodeva lo strato superficiale del fondo del bicchiere. Quando ritenne che il liquore avesse assorbito la quantità ideale di minerali, si portò il bicchiere alle labbra e lo vuotò in un colpo solo, reclinando all’indietro la testa con un colpo secco.
Quando la gola e lo stomaco cessarono di bruciargli, Kumurz produsse una sonora espettorazione e sputò un misto di sangue e grumi calcarei nel bicchiere ormai vuoto. Dopodiché, chiamò Dal-Rig: “Falli entrare”.
Dalla tenda sbucarono le guardie scelte Grennus e Balbeck. Erano seminudi, vestiti solo con perizomi sporchi di terra, i corpi grigio scuro scintillanti di sudore; le loro pance voluminose strusciavano per terra mentre avanzavano carponi verso il capomastro.
Kumurz si schiacciò la base del naso con due dita, aggrottando ancor di più la fronte. “In piedi”, ordinò, “e a rapporto”.
Le guardie scelte Grennus e Balbeck si affannarono ad alzarsi in piedi. Nessuno dei due osava sostenere lo sguardo di Kumurz, e i loro occhi vagavano ovunque pur di non incrociare lo sguardo del capocantiere. Grennus prese la parola per primo: “Sì, capo, sissignore! L’incursione è avvenuta ieri. Non ci sono nuovi tunnel e nessuna nave è stata avvistata, e supponiamo che gli aggressori siano arrivati qui con la magia. Il lavoratore Zaiet è stato…”.
Kumurz interruppe il resoconto con un gesto della mano e un ringhio feroce: “Sì, sì, so già tutto questo. Voglio sapere quale fosse il piano degli incursori. Hanno ucciso alcuni dei nostri uomini migliori e tenuto testa ai draconici, per poi sparire nel nulla. Voglio sapere perché”.
Grennus e Balbeck si guardarono di sottecchi. Con un gesto rapido, Grennus usò la punta della barba per asciugarsi il sudore dalla fronte, mentre Balbeck, visibilmente a disagio, strisciava i tozzi piedi nudi sul pavimento. “Hem…”, esitò Grennus. “Noi..”, inizio Balbeck.
Con un ruggito, Kumurz scagliò il bicchiere di pietra contro Grennus, colpendolo in fronte con forza sufficiente a spaccare il contenitore. “ALLORA?”, gridò il capocantiere Duergar, mentre Grennus barcollava sotto l’impatto.
“Hanno rotto un carrello!”, esclamò Balbeck precipitosamente. L’attenzione di Kumurz si concentrò su di lui: “Che cosa?”.
Balbeck annuì, confermando le parole di poc’anzi. “Hanno spaccato un carrello. E una delle catene del pozzo di superficie”.
Kumurz ricrollò a sedere: “Un carrello…”
Balbeck annuì ancora: “Sì! E la catena del pozzo!”.
Grennus, con un rivolo di sangue scuro che gli colava sulla faccia dalla fronte, si affrettò a dar manforte al compagno: “Sì, capo! Si sono accaniti contro quella catena. Sembravano posseduti dai demoni, ululavano e picchiavano con un maglio…”.
“Sono stati lì almeno dieci minuti a colpire la catena del pozzo mentre i nostri uomini raccoglievano le armi e uscivano fuori!”, confermò Balbeck, entusiasta.
Kumurz si passò una mano sulla faccia. L’emicrania stava peggiorando. “E poi?”
“E… e poi, signore?”
“Sì, guardia scelta Balbeck. E poi. Cosa hanno fatto poi?”.
“Hanno… hanno ucciso le nostre guardie… e sono spariti nel nulla come erano arrivati, signore”.
Nella sala cadde il silenzio. Poi il capomastro squadrò le guardie scelte Balbeck e Grennus e chiese, con voce pericolosamente calma: “Vuoi dire che questi incursori, questa squadra di guerrieri e maghi, è venuta qui per distruggere una catena?”
“E un carrello, signor… ahia!”, aggiunse Grennus, sussultando per il calcio che Balbeck gli aveva affibbiato su uno stinco.
Balbeck bisbigliò qualcosa.
“Come hai detto, guardia scelta Balbeck?”, chiese Kumurz.
“C’è… c’è un’altra cosa, capo”, ripeté Balbeck, sussurrando le parole con un fil di voce.
Kumurz ringhiò: “Certo che c’è dell’altro. Dev’esserci un motivo per cui sono venuti qui. Potevate dirlo subito! Cosa hanno fatto, dopo?”.
La faccia di Balbeck era diventata di una strana sfumatura di grigio verdognolo, e sembrava stesse per sentirsi male sul posto: “Siamo… siamo abbastanza sicuri che abbiano… che abbiano… hem, signore, abbiamo motivo di ritenere che abbiano rubato dei sassi”.
Il cruccio perenne di Kumurz si spianò in un’espressione stupita. Per una volta, sembrava che il capomastro non sapesse più cosa dire. Rimase in silenzio così a lungo che Grennus, preoccupato, azzardò un: “Tutto bene, signore?”
“In che senso, dei sassi?”, chiese Kumurz.
“Delle… delle rocce vulcaniche, signore. Scarti dagli scavi. I nostri uomini li hanno visti raccogliere un paio di… di sassi, signore. Sassi qualsiasi. Dicono che.. sembravano… s…soddisfatti… quasi, hem, esultanti…”.
Kumurz esalò un sospiro. La sua fiera postura sembrava un ricordo del passato; sembra si fosse sgonfiato, sconfitto. “Quindi… sono venuti qui, hanno distrutto una catena, e un carrello, e hanno raccolto dei sassi da terra. Hanno ucciso una dozzina dei nostri guerrieri e una manciata di draconici e sono scappati, sparendo nel nulla”.
Balbeck e Grennus annuirono come un sol Duergar, sollevati dal fatto che il capocantiere sembrasse aver colto il senso del loro rapporto.
“Quanti carrelli ci restano, guardie scelte Balbeck e Grennus?”, chiese Kumurz, con voce tremula.
“Circa 82, capo”, rispose fieramente Balbeck.
“E quanto ci vorrà per riparare la catena?”, proseguì Kumurz.
“Il nostro fabbro Muturk ha già terminato i lavori, capo”, replicò Grennus, che sembrava aver recuperato un po’ di spirito nonostante la ferita sulla fronte continuasse a fiottare sangue.
“Bene, bene…”, disse Kumurz, sovrappensiero. Poi rimase in silenzio, fissando il vuoto.
Dopo qualche minuto, i due Duergar si guardarono preoccupati. “P… possiamo andare, capo?”, azzardò Balbeck.
Il capomastro li liquidò con un cenno della mano, senza rispondere. Poi recuperò la bottiglia, si accorse di non avere più il bicchiere, e se la portò direttamente alle labbra, bevendone una buona metà a garganella.
L’emicrania non accennava a passare.